UNA BIRRA COL KAISER: Italia, popolo di santi, poeti e Tony Cairoli!!!

Scritto martedì 25 Marzo 2014 alle 11:56.

KAISER

Italia, popolo di santi, poeti e Tony Cairoli

Ciao a tutti. Oggi scrivo senza pagelle, anche perché non c’è stato nessun GP, ma solo per sottoporvi una riflessione che mi ruzzola in mente già da qualche giorno. Col vizio che mi ritrovo di voler pensare sempre controcorrente e cercare l’altro lato della medaglia in tutte le cose, mi sono chiesto che considerazione ha all’estero l’Italia del cross.

Qui da noi il tema ricorrente delle discussioni è la crisi generazionale: all’orizzonte non si scorgono giovani italiani in grado di poter quantomeno avvicinare le gesta dei campioni attuali. Perché? Le spiegazioni più ricorrenti sono che la Federazione non ha saputo lavorare, investendo male sui programmi di sviluppo dei talenti; poi si dice che i gestori degli impianti preferiscono attirare gli utenti meno capaci e quindi non si trovano praticamente più piste in condizioni difficili per allenarsi; e, soprattutto, è opinione comune che i giovani d’oggi non hanno la mentalità votata al sacrificio, indispensabile per poter fare il vero salto di qualità. Tutto questo fa sì che non si veda nessun nuovo Cairoli.

Io non ho intenzione di intervenire su una questione già ampiamente dibattuta in ogni salsa; la mia idea è che tutte le analisi siano validissime, ma credo anche che i campioni non si costruiscano in fabbrica. Nonostante fior di professionisti e scienziati che cercano di prevedere e pianificare la crescita degli atleti, sono sempre tantissime le ciambelle che non riescono col buco. Questo perché ci sono tutta una serie di componenti imprevedibili che influenzano lo sviluppo di una persona e, di conseguenza, di uno sportivo.

Io mi chiedo un’altra cosa: cosa penseranno di noi all’estero?

Voglio dire, in Italia è dal 2007 che vinciamo ininterrottamente un titolo mondiale. Gli appassionati stranieri sicuramente non conoscono le vicissitudini dei nostri vivai, non sono informati per entrare nel merito di certe discussioni, per cui non hanno altri elementi per valutare la nostra scuola se non i risultati che otteniamo nelle gare internazionali. E, dai freddi numeri, quello che emerge è che l’Italia sta vivendo sportivamente l’età dell’oro del suo motocross. Trainati da Cairoli e Philippaerts, ma anche con Guarneri, Monni, Salvini; tutti piloti minimo da primi quindici del mondiale MX1.

In Italia non avevamo mai avuto così tanti piloti competitivi nella classe regina. Quando mai, prima di Tony e DP, un titolo mondiale della 250 o della 500 era stato conteso tra due azzurri? Voi mi direte: sì, ma quando mai lo sarà di nuovo? E io vi rispondo: sicuramente non adesso. Però a questo punto subentra un’altra riflessione.

Negli ultimi 25 anni le uniche scuole crossistiche ad aver fatto un salto di qualità definitivo sono state quella americana e quella francese, che si sono affermate come vere fucine di campioni e si sono affiancate alla “potenza storica” che è il Belgio. Non c’è edizione del Nazioni in cui non bisogna considerare queste tre nazioni tra le favoritissime. In compenso, sono usciti sempre più di scena i Paesi scandinavi, un tempo riferimenti assoluti ed ora confinati a ruoli di terzo piano.

Tutte le altre nazioni sono andate a periodi; momenti di grande prolificità alternati a momenti di appannamento. Penso all’Olanda, che a fine anni ’80 aveva piloti fortissimi in tutte e tre le cilindrate, poi è rimasta ai margini per una decina d’anni e adesso è tornata prepotentemente in auge, prima con De Reuver e soprattutto ora con Herlings. Penso alla Nuova Zelanda, che ha iniziato coi fratelli King per arrivare a due piloti straordinari come Coppins e Townley e ritrovarsi adesso senza più nessuno. Penso alla Germania, che aveva il solo Beirer negli anni ’90 e adesso è stata in grado di vincere un Nazioni. Penso alla Gran Bretagna, che dopo i trionfi dell’epoca degli albori del motocross è stata sempre una nazione di tanti ottimi piloti e pochi grandi campioni.

Penso anche all’Italia, che ha avuto una crescita costante negli ultimi decenni, ma comunque mai al punto da entrare definitivamente nel gotha del motocross. Abbiamo cominciato con Rinaldi a vincere quel titolo mondiale che sembrava un miraggio; poi c’è stato Puzar, il primo azzurro a battagliare testa a testa con i più forti del mondo; poi sono arrivati Bartolini, Chiodi, Federici e tutti i ragazzi della “generazione di fenomeni” della 125 anni ‘90, che portò per la prima volta l’Italia sul tetto del mondo; a metà anni 2000, quando sembravano finite le vacche grasse e si cominciava a dire che non si vedeva nessuno pronto ad ereditare il testimone dai vecchi campioni, è esplosa all’improvviso un’altra generazione di piloti ancora più forti di quelli che uscivano di scena, trainata da uno scricciolo siciliano destinato a fare la storia.

E adesso che cominciano ad invecchiarsi anche quelli di questa “infornata”, si ritorna ai discorsi che si facevano dieci anni fa. Io ho ancora da qualche parte un Motosprint del 2002 in cui, neanche sedicenne, rispondevo ad un articolo di Enrico Borghi che lamentava la carenza di giovani talenti italiani e invitava a prendere esempio dalla Francia; gli dicevo che la Francia non aveva giovani migliori di noi e che non si poteva prevedere il futuro. Fui un po’ approssimativo e forse anche incosciente nell’analisi, ma di sicuro la storia ha dato ragione a me.

Il problema di quando si vince è che ci si abitua al massimo… e poi tornare giù diventa difficile. Dopo Cairoli cosa ci sarà? Non lo so, ma mettiamoci il cuore in pace: è quasi impossibile che ci sarà un altro Cairoli. Non è possibile avere due Cairoli di fila, così come non è possibile avere due Everts di fila. A maggior ragione se sei l’Italia. Noi non siamo l’America, non siamo il Belgio e non siamo la Francia: non abbiamo mai avuto l’imbarazzo della scelta, non ci siamo mai potuti permettere di dire “se non c’è uno, convoco l’altro e la squadra è forte lo stesso”. Siamo una potenza secondaria e forse, tra qualche anno, torneremo a sperare di avere un pilota in grado di vincere un GP ogni tanto, rimpiangendo i tempi in cui potevamo scegliere per quale campione azzurro tifare.

Per cui, finché possiamo, godiamoci la grande bellezza del nostro cross e immaginiamo che all’estero stanno rosicando da anni per quello che riusciamo a vincere noi. Poi, magari, all’improvviso spunterà fuori qualche altro ragazzino pronto a farci sognare.

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